Il TAMBURO strappato ai francesi nel 1810

IL TAMBURO di liuzzo48
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Con lettera del 23 Ottobre 1901, l’Assessore alla P. I. avv. F. A. Cannizzaro ebbe cura di richiedere al Delegato municipale di Pezzolo, signor Nunzio Parciabosco, il tamburo storico conservato nella chiesa parrocchiale di S. Nicolò di quel villaggio ed ottenutolo, dopo due giorni ne fece consegna a questo Civico Museo.

 

Il tamburo in parola, che ricorda la disgraziata impresa di Gioacchino Murat, è d’ottone ed ha le dimensioni di m. 0,41 di diametro per m. 0,34 di altezza. Nel centro, vedesi a rilievo lo stemma di Murat in un panneggiamento, ornato di decorazioni e sormontato dalla corona: lateralmente, sono rilevate due cornocopie intrecciate e legate anche dalla corona. Il tamburo ha un manico di rame nel quale stanno incise le lettere:

 

R. C. G W.

 

cioè: Real Compagnia Granatieri vivat. Da un lato poi, il tamburo manca addirittura della pergamena, mentre quella che esiste ancora nell’altro lato, è lacera in vari punti, e non è da ritenersi che sia l’antica, poiché i buoni naturali di Pezzolo si son serviti di tale tamburo nelle processioni, e chi sa quante volte ne abbiano mutata la pergamena.

 

Nel 1810, ritiratosi Ferdinando IV a Palermo, Gioacchino Murat che regnava a Napoli, si accingeva a passare in Sicilia ove però trovava serio ostacolo nella cittadinanza di Messina la quale non era favorevole ad accogliere il nuovo Re, devota come si trovava di quel Ferdinando che aveva rifatta la città in appena un decennio dopo i terremoti del 1783. E poi, notava il cronista della Gazzetta Britannica del 25 luglio 1810 (N. 42) i messinesi ricordavano i Vespri, e ritenevano Murat e i suoi francesi come implacabili nemici contro di cui un odio invecchiato sembra essere stato tramandato nell’animo de’ Siciliani in un col sangue. A questo proposito anzi, il Prof. Gaetano Oliva, il quale s’ è con amore anche occupato delle vicende di quell’epoca nei suoi Annali in continuazione a quelli del Gallo (II lib. pag41 e seg.) ci rende noto che il nostro popolo, nemico ai francesi cantava con entusiasmo per le strade, in attesa dei possibili scontri:

 

Chi su brutti sti facci di ‘mpisi
Senza scarpi, cosetti e cammisi;
Quand’i viditi, tiràtici ‘mpanza,
Viva lu ‘Ngrisi, mannaja la Franza!

 

Murat s’era poderosamente fortificato sulla costa calabrese, rimpetto Messina, ma le sue navi non si decidevano mai all’assalto, intimorite al certo dalla flotta anglo-siciliana che incrociava nel Canale. A 7 luglio 1810 nella Città e i suoi contorni -- notava la Gazzetta Britannica – si sono fatti di già tutti i preparativi per accogliere il nemico, e qualora il Signor Murat ritarda la sua venuta, abbiamo motivo di sperare che la nostra brava Armata dal difensivo passerà all’offensivo (N.37). E dopo qualche falso allarme, all’offensivo passo realmente la flotta il 21 luglio, e Murat perdette alcune centinaia di soldati.
Non s’arrestavano però a questo le due parti contendenti, ed allora Murat decideva di tentare finalmente lo sbarco alla marina di S. Stefano, ov’egli riteneva mal custodito il lido, e s’affidava al generale Cavaignac il quale partiva da Pentimele e d’altri punti con 80 barche e circa 3000 uomini.

 

Lunedì 17(settembre) abbriscendo li 18 - notava il Grosso - Cacopardo nel suo Diario di Messina da me inedito posseduto - sbarco dè francesi alla marina di S. Stefano e S. Paolo. Tale sbarco infatti, aveva luogo alle ore tre circa  del mattino, ma i nemici restavano segnalati subito dal telegrafo che gl’Inglesi avevano piazzato sulle alture di Mili. Di un subito - scrive la Gazzetta Britannica del 19  settembre - si battono le Campane all’armi; al primo segno, tutti i paesani di ogni condizione ed età corrono all’arme; soltanto restano in quei casali i Preti, i quali, esposto il Divinissimo Sacramento alla pubblica adorazione, tengono in preghiera le donne ed i vecchi. Coloro fra i paesani che non avevano fucili, si armarono alla meglio che fu loro possibile, di scuri e di grossi bastoni, e così armati,con un sorprendente coraggio e destrezza, si portarono ad incontrare il nemico e, per impedirlo a non  inoltrarsi nelle montagne, occupano le alture, e da tutte le parti fanno un vivo fuoco contro la truppa nemica che di già era stata messa a terra. Sopraggiunti intanto  gl’inglesi, il  generale Cavaignac temette che non gli venisse impedita la ritirata, ed allora ordinò che i suoi s’imbarcassero di nuovo, mentre però era costretto lasciare circa 1200 prigionieri, tra i quali 39 ufficiali oltre a due colonnelli ed un tenente  colonnello, la maggior parte del Reggimento Corso 2° fanteria leggera, e del 4° di Linea napoletano, i quali passarono nei forti della Cittadella e del SS. Salvatore in MESSINA.

 

Non può idearsi - scrive la Gazzetta citata - la gran folla di popolo che precedeva e seguiva sempre in acclamazioni di gioia e spargendo di mille benedizioni l’armata britannica ed i paesani siciliani che avevan riportata tale vittoria. Ed infatti a 20 settembre, per le cantonate venne affisso un Manifesto al Pubblico, di S. E. il Tenente Generale Sir John Stuart, conte di Maida, Comandante in Capo delle Forze Britanniche nel Mediterraneo, nel quale notavasi il nativo valore e fedeltà degli abitanti dei villaggi, i quali avevano destato in lui e in tutta l’Armata il sentimento della più viva compiacenza e della più alta soddisfazione,  massime quelli di Mili, S. Stefano e Galati. Ed in quei villaggi, i cappellani leggevano al pubblico tal manifesto tra l’entusiasmo il più vivo dei naturali, mentre i ricordi della vittoria, conquistati nello scontro, venivano depositati nelle Chiese. La Gazzetta Britannica ci narra che aveva il Reggimento la sua  bandiera che nascosero sotto la sabbia, ma l’avvedutezza dei nostri la rinvenne: elle portava nel centro l’iscrizione: GIOACCHINO NAPOLEONE  RE DELLE DUE SICILIE AL REGIMENTO REAL CORSO.  Questa fu portata al Quartier generale da un Dragone in Messina, ma poi venne consegnata al Senato della Città, che  l’appesaro ad un cornicione del T nel Duomo ove se ne vedono ancora gli avanzi.

 

Oltre a questo ricordo della vittoria, altri ne rimasero nei  villaggi, ed infatti dalla Relazione ufficiale dello scontro, si ha che il Sergente Pietro Frassica, della 4° Compagnia 2° Battaglione di Galati, fece 14 prigionieri che consegnò  agl’Inglesi, ma restò in potere di un tamburo guernito di ottone  da lui guadagnato ai nemici e che volle depositare nella chiesa parrocchiale di Galati. Anche un tale nativo di PEZZOLO è soprannominato BIDDUNI venne in  potere di un altro tamburo, e questo fu custodito invece nella Chiesa di S. Nicolò a PEZZOLO da dove passò ora, come si disse, al Museo Civico di Messina.
Questo fatto d’armi, venne ad ampedire, e per sempre, l’impresa di Sicilia; Murat fu fucilato al Pizzo, e l’Isola nostra venne arrestata di mezzo secolo nel progresso delle civiltà europee.

 

documento storico riportato da "Onin" (Nino Spuria)