S. Placido Calonerò - IL MONASTERO

Fra il 1361 e 1363, quattro gentiluomini messinesi, il nobile suddiacono Leonardo de Astasiis o Austasio, il prete Roberto de Gilio, il suddiacono Mauro de Speciariis o di Speciale e Giovanni di Santa Croce, fondavano, dietro autorizzazione dell'arcivescovo Dionisio di Murcia e dedicandolo a San Placido (santo messinese che a Messina aveva fondato la chiesa di San Giovanni Battista, oggi San Giovanni di Malta, e che subì il martirio ad opera del pirata Mamuka nel 541), un primo monastero distante dodici miglia verso sud da Messina, sulla sommità di una collina e in un piccolo podere che il sacerdote milazzese Nicolò Mustraflosio aveva loro concesso insieme ad una chiesetta ormai diroccata e fatiscente dedicata a San Luigi di Calonerò (questo primo complesso monastico, denominato San Placido in Silvis o "San Placido il Vecchio", esiste ancora sulle alture del Casale di Giampilieri).

Nel 1367 il piccolo monastero venne elevato alla dignità di abbazia però, ben presto, venne definitivamente abbandonato nel 1394 a causa dei notevoli disagi che creava ai religiosi, essendo stato eretto in luogo impervio e scosceso.

La comunità di monaci benedettini si trasferì, allora, nel feudo di "Santa Domenica" donato dai conti Vinciguerra d'Aragona dove già sin dal 1376 era stata iniziata la costruzione del nuovo e più grande monastero, sospesa nel 1401 per un litigio incorso con l'arcivescovo di Messina ed ultimata nel 1486.

Il complesso religioso prese, quindi, il nome di San Placido Calonerò [Calonerò deriverebbe dal greco modemo Kalò (bello) e Vepov (acqua)].

Nel 1535, reduce dalla vittoria di Tunisi contro i Turchi e diretto a Messina, vi fu ospitato Carlo V nei giorni 19, 20 e 21 ottobre. Il giorno dopo il suo arrivo, un fulmine provocato da un violento temporale uccise sul colpo un conte suo intimo familiare cha alloggiava nell'adiacente torre del castello dei Vinciguerra e, dopo questo luttuoso avvenimento, l'imperatore si trasferì nel più sicuro appartamento della foresteria.

Sotto il governo dell'abate Don Paolo Jacuzzo, nel 1589, si dava inizio ai notevoli lavori di ampliamento e decorazione, disposti in conseguenza del rinvenimento dei corpi martirizzati dei Santi Placido e Compagni durante gli scavi eseguiti nel tempio di San Giovanni Battista in città, l'anno prima. I lavori proseguirono con l'abate Jacuzzo fino al 1597, per essere poi completati nel 1608 sotto il governo dell'abate Don Davide Sturniolo.

Abbandonata nel 1663 per paura dei pirati che si credeva volessero impadronirsene, durante la rivolta antispagnola del 1674/78 l'abbazia fu utilizzata quale baluardo dei messinesi alleati con i francesi contro la Spagna, subendo un incendio nel corso di un assalto.

Nel 1714 veniva visitata da Vittorio Amedeo II di Savoia re di Sicilia, e, durante i moti antiborbonici del 1848/60, ospitò le riunioni segrete degli insorti.

A seguito della soppressione delle corporazioni religiose con le cosiddette "leggi eversive" del 1866, passò in proprietà del Demanio che decise di utilizzarla come Colonia agricola penale, ma, ritenendo l'Amministrazione Carceraria i locali non adatti a tale destinazione e ritornata l'abbazia in proprietà del Demanio, fu infine venduta alla Provincia di Messina il 23 giugno 1898.

Il 18 novembre 1901 vi veniva aperta ufficialmente la Regia Scuola pratica di Agricoltura, ancora oggi adibita ad Istituto Tecnico Agrario intitolato a Pietro Cuppari. Il complesso abbaziale si presenta oggi con un impianto planimetrico complessivo di forma rettangolare e di chiara derivazione rinascimentale.

In esso e possibile leggere i tre momenti fondamentali della sua storia architettonica: quello medievale relativo al castello dei Vinciguerra d'Aragona nella parte settentrionale; quello rinascimentale che si articola nei due grandi chiostri porticati e nella serie di ambienti che vi gravitano, quello ottocentesco e contemporaneo, risultato dei continui adattamenti dell'edificio religioso a Scuola agraria.

Di interessante concezione architettonica sono i due chiostri, perfettamente simili nella serie di arcate a tutto sesto, dallo stile squisitamente toscano ravvisabile nelle colonne sormontate da capitelli ionici con alti pulvini e archi dalle sottili cornici.

Entrambi a pianta quadrata con leggere differenze dimensionali, si compongono di 28 colonne in granito di Pezzolo e presentano una particolarità costruttiva di alta suggestione visiva, degna di nota: i quattro capitelli angolari, invece che ionici, sono di ordine corinzio che meglio si presta, per il tipo di decorazione a 360°, a  marcare gli spigoli del quadriportico, e, di conseguenza, gli ortogonali cambiamenti di direzione.

Sul lato ovest del chiostro meridionale prospetta l'antico refettorio cui si accede tramite un'elegante porta tardo-rinascimentale che, nella parte alta, conteneva in nicchia il busto marmoreo di Carlo V, recentemente rimosso e attualmente ben custodito nella presidenza dell'Istituto.

Tramite un vestibolo di collegamento, si accede al chiostro settentrionale dove al centro si eleva uno svelto tempietto a pianta ottagonale con cupola sfaccettata sostenuta da Otto colonnine di ordine ionico in granito di Pezzolo, identiche a quelle dei due chiostri. Da qui si perviene all'antico castello e quindi alla parte medievale di tutto il complesso, sottolineata da un atrio a pianta quadrata scandito da. quattro possenti colonne angolari di gusto gotico.

Sulla parete ad ovest si apre un pregevole portale di stile gotico-catalano con colonnine polistili modanate sormontate da capitelli floreali con le caratteristiche foglie uncinate a "grappa";su di essi imposta un arco a sesto ribassato con varie profilature ed estradosso ad arco inflesso cuspidato con stemma araldico terminale.

Il blasone gentilizio e quello della nobile famiglia Urso, baroni di Raineri e Merii (primi proprietari del castello in epoca sveva), che si componeva d'azzurro all'orso d'oro. Altri due stemmi analoghi, riprodotti su mattonelle quadrate smaltate, erano fissati ai lati del portale e sono serviti da esempio per la recente realizzazione della pavimentazione.

Il portale immette in una stanza quadrata, oggi adibita a cappella, che faceva parte della torre colpita dal fulmine dove la prima notte del suo arrivo dormì Carlo V; la copertura, a crociera, e caratterizzata da quattro colonnine angolari sui cui capitelli impostano gruppi di tre archi gotici a sostegno delle pareti e della volta.

Sulla parete ad est dell'atrio, si apre il portale d'ingresso all'antica chiesa del castello, ad unica navata e non più esistente. Si tratta di una realizzazione rinascimentale che è stata sovrapposta a quella precedente di carattere gotico-svevo e della quale sono ancora leggibili le eleganti profilature.

Al centro dell'architrave e raffigurato lo stemma di Vinciguerra, composto da un'agile torre che si eleva su una fortificazione bugnata.

Di interessante concezione architettonica è una Sala gotica a pianta quadrata, ubicata all'estremo orientale del corpo di fabbrica, con agli angoli colonnine sorreggenti una volta a crociera costolonata dagli influssi gotico-francesi